In un precedente articolo ho già affrontato il tema dell’abbigliamento second-hand e vintage (e se non te lo ricordi puoi rileggerlo cliccando qui)…ma l’ispirazione di oggi arriva con una nuova considerazione che ho fatto: ma il fashion second-hand è sostenibile?
Fino a una decina di anni fa, erano in pochi/poche coloro che decidevano di privilegiare i propri acquisti ricorrendo al mercato dell’usato. Non era abbastanza diffusa questa abitudine poiché alla base la mentalità propendeva sempre per l’acquisto nuovo. Forse perché con il ritorno costante delle mode l’unico modo per rimanere al passo con le tendenze è affidarsi ad un mercatino vintage/second-hand? Oppure perché la mentalità ambientalista ha preso piede negli ultimi anni con l’avanzamento dei problemi legati al Cambiamento climatico?
Opzioni entrambe possibili e analizzate in maniera più approfondita in questo articolo che cerca di fare un’analisi sociologica dietro al comportamento d’acquisto.
E allora arriviamo a noi.
Il fashion second-hand è sostenibile?
Oggi in una città come Milano, il settore dell’usato è visibilmente sulla cresta dell’onda: ti sembra strano?
No. Questo perché oggi il fashion second-hand è un settore che ha un giro di affari di circa 4 miliardi e tutto ciò che dietro ha un business così di valore non viene certo lasciato unicamente nelle mani dei mercatini rionali, ma diventa un’opportunità golosa anche per le multinazionali.
Vi porto l’esempio di Zalando. L’azienda lo scorso aprile 2021 ha lanciato la sua piattaforma parallela di acquisti-vendite second-hand. Geniale non trovate? (Qui un approfondimento di “Il Corriere”). Un mercato che fa così tanto presa sui più giovani è stato portato a bordo dal famoso e-commerce di abbigliamento nuovo, così che esso possa sia usufruire di questo settore così proficuo arricchendosi, sia essere a posto con la coscienza perché di fatto “usato” oggi è sinonimo di “sostenibile” (o spesso viene confuso).
Dopo questa mia ultima affermazione starete pensate, «Usato non è sinonimo di Sostenibile?».
La mia risposta è: Dipende.
Non dobbiamo pensare che l’acquisto frequente anche se riguarda dei capi second-hand allora sia a tutti i costi sostenibile, perchè si incapperebbe in una valutazione errata. Pensate all’App Vinted oppure a Wallapop o ad altre ancora… (e non si parla solo di abbigliamento!).
Acquistare con un’alta frequenza su questi siti causerebbe una totale non-sostenibilità, questo perché il fenomeno del consumismo non è mai associato al concetto di sostenibilità e perché… sapete quanto inquina il trasporto delle merci su camion, che è il mezzo utilizzato dalle spedizioni su Vinted? (La risposta la trovate in questo articolo: trasporto delle merci!).
Ma ancora, molti dei capi che possiamo trovare nei negozi o mercatini dell’usato sono realizzati con fibre sintetiche, come il poliestere, nylon, lycra, ecc. Pensate che queste fibre artificiali vengono costantemente immesse nelle acque superficiali e marine ogni volta che vengono lavati.
Dal sito del WWF si evince che a seguito di un’analisi effettuata sulle microplastiche ritrovate nei fondali del Tirreno, oltre il 70% sono microfibre tessili che, non essendo trattenute correttamente dagli impianti di trattamento delle acque reflue finiscono in mare. Si tratta del 40% di tutte le fibre tessili: la diretta conseguenza dei nostri lavaggi.
Ecco allora che da un settore (quello dell’abbigliamento usato) che nasce come green, sostenibile e amico del pianeta, nascono opportunità di business, contraddizioni e come al solito…inquinamento.
Cosa dovremmo fare?
La strada che dovremmo percorrere è quella di effettuare acquisti sì second-hand ma in maniera consapevole, scegliendo se possibile fibre naturali ma di certo evitando uno shopping compulsivo ed eccessivo.