“Biofilia ed empatia sono tratti innati dell’uomo, la sfida è unirli in modi nuovi”. Paolo Inghilleri (docente di psicologia sociale)
Quanto è importante riciclare il tessile?
Il settore tessile è fra i settori industriali più inquinanti al mondo, la moda infatti produce quasi il 10% di tutte le emissioni di anidride carbonica.
Abbiamo raggiunto gli 8 miliardi di persone nel mondo, questo significa che il settore tessile deve fornire molti più capi di abbigliamento rispetto a prima e non è solo una questione di bisogno reale (magari lo fosse!). Oggi siamo ossessionati dall’abbigliamento e le mode e le tendenze cambiando continuamente, portando la nostra attenzione al desiderio successivo (il desiderio: il dramma del 21° secolo).
Siamo totalmente assuefatti/e dal fare nuovi acquisti e dal contornarci di oggetti nuovi, tanto da diventarne vittime, perché possediamo qualcosa di cui, nella gran parte dei casi, non abbiamo bisogno. Pensate che del nostro armadio, utilizziamo solamente il 40% dei capi!
Fortunatamente qualcosa sta cambiando, che sia sempre per mode e tendenze non lo escludo (vedi questo articolo), ma la percentuale delle persone che acquistano abiti second-hand, vintage e nuovi ma eco-sostenibili è decisamente in crescita.
Secondo l’Osservatorio Second Hand Economy 2021, si evince che, dall’inizio della pandemia da covid-19, sono aumentati gli acquisti di questo genere di abbigliamento e siamo arrivati a un valore generato da questo settore di 24 miliardi di euro, che rappresenta l’1,4% del PIL nazionale.
Gli acquisti second hand essendo poi effettuati soprattutto dalla generazione-Z, avvengono soprattutto online, tramite piattaforme di compravendita (pensiamo a Vinted) oppure tramite i social networks, arrivando a quasi il 50% del volume d’affari totale per un valore di 11,8 miliardi di euro.
Quest’onda di acquisti più consapevoli da parte dei giovani ha aperto le porte a un fenomeno di marketing più “oscuro”: parliamo del “greenwashing”, una pratica commerciale ingannevole adottata da molti brand, soprattutto delle grandi catene di fast-fashion. Quello che accade è che sulle etichette dei beni in vendita appaiono slogan ”eco-friendly” che però non corrispondono alla realtà dei fatti o ancora informazioni parziali, con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori illudendoli di effettuare una scelta d’acquisto ecologica.
Questa pratica però non solo non aiuta niente e nessuno, ma anzi crea un danno. Per maggiori approfondimenti leggi questo precedente articolo.
Il greenwashing causa un danno anzitutto all’ambiente (perché con la scusa di creare un capo fintamente o minimamente ecologico, si perpetua il solito modello produttivo inquinante); un danno di trasparenza ai consumatori, che sono, senza utilizzare altri termini, truffati dalle aziende e in ultimo, ma non meno importante, un danno al settore. Infatti, c’è chi buone pratiche ne fa e valori ambientali ne ha e rischia così di essere additato come “uno dei tanti” operatori ingannevoli.
Inoltre, il modello di business della fast fashion crea delle grandi disfunzionalità anche al termine dell’utilizzo del capo di abbigliamento. Le fibre tessili che compongono questi capi sono per la maggior parte sintetiche (ovvero derivanti dal petrolio) e molto spesso sono mescolate più fibre insieme, rendendo quindi difficile il riciclo. Se il riciclo del fast fashion è spesso impraticabile, non da meno è il riuso: i capi usati di bassa qualità non sono adatti alla rivendita nei mercati europei e vengono quindi per la maggior parte esportati. Dove? Da fonte Observatory of Economic Complexity 2021 gli abiti usati nei paesi occidentali arrivano nei Paesi del terzo mondo, come l’Africa che importa il 46% degli abiti dall’UE, immettendoli nel commercio interno.
I Paesi occidentali si liberano della mole di tessile che andrebbe altrimenti incenerito e la vende ai Paesi del terzo mondo, pratica denominata “dumping”. Ecco che quindi una valanga di abiti usati e di pessima fattura arrivano in Africa, in Asia, oppure in Cile – vedi le condizioni del deserto di Atacama -, e sommergono le popolazioni. Entrano nella rete di commercio togliendo spazio alle iniziative di manifattura locale, che perdono dunque mercato.
Atelier Riforma
Un progetto tutto italiano che si inserisce in questo ambito per evitare proprio che quanto appena descritto accada è “Atelier Riforma”, una start up innovativa a vocazione sociale fondata nel 2020 a Torino con la missione di promuovere la transizione del settore tessile-moda verso un modello più circolare.
Atelier Riforma vuole giocare un ruolo importante prima della fase dell’esportazione ai paesi poveri, favorendo la gestione circolare e responsabile nei Paesi di origine. Per fare questo propone una soluzione “b2b” (business-to-business) che si chiama “Re4circular”: tramite l’intelligenza artificiale si catalogano automaticamente i capi con lo scopo di indirizzarli verso il miglior impiego circolare possibile, permettendo a più componenti del capo stesso di essere protagonisti di un nuovo ciclo di vita fra le aziende del paese di origine.
I due business fra cui Re4circular si inserisce sono: da un alto tutte le realtà che si trovano a gestire ampie quantità di indumenti dismessi (in particolare enti di raccolta, ma anche brand di moda che attivano servizi di take-back), dall’altro tutto il mondo della moda circolare che ricerca materia prima seconda (quindi indumenti dismessi) per la propria attività (ad esempio i negozi dell’usato, le aziende di riciclo, gli artigiani del refashioning creativo, ecc.).
Per catalogare gli abiti sono scattate le foto del capo e della sua etichetta e poi digitalizzati per essere messi direttamente in vendita online. Successivamente vengono stabilite automaticamente la composizione del tessuto, la taglia, il brand, la stagionalità del vestito, ecc. Atelier riforma è innovativa proprio grazie al ruolo giocato dall’intelligenza artificiale che smista i capi (pratica denominata “sorting”) in maniera del tutto digitale e automatica.
L’idea intercettata dal team italiano coglie una grande opportunità di mercato ma soprattutto un’esigenza che risponde a bisogni ecologici e sociali.
Questo il loro sito web: Atelier Riforma – Tecnologia per la moda circolare (atelier-riforma.it)
Questa la pagina instagram: Atelier Riforma – Re4Circular (@atelier_riforma) • Foto e video di Instagram
In foto la co-founder e CEO Elena Ferrero e a fianco la co-founder e COO Sara Secondo.